Pirandello - D'Annunzio - Pasoli [miei apunti in sintesi]

« Older   Newer »
  Share  
°Camilla°
view post Posted on 5/10/2007, 09:40




Simbolismo
Simbolismo, corrente letteraria e artistica, fiorita in Francia nella seconda metà del XIX secolo, i cui seguaci, in opposizione al realismo, cercavano di esprimere idee, emozioni e atteggiamenti con l'uso di parole e immagini simboliche.
LETTERATURA: LA NASCITA E LO SVILUPPO IN FRANCIA E IN BELGIO
Movimento letterario e artistico sorto in Francia nell'ultimo ventennio del sec. XIX. Nato ufficialmente con un manifesto di Jean Moréas pubblicato sul Figaro il 18 settembre 1886, aveva origini lontane, risalenti al romanticismo e alla poesia di Baudelaire, al quale appartiene anche la prima definizione poetica di simbolismo, contenuta nel sonetto Correspondances. In esso la natura è rappresentata come una foresta di simboli tra loro "corrispondenti" che racchiudono le chiavi del significato dell'universo. Secondo una concezione già romantica della funzione del poeta, suffragata dalla filosofia idealistica, a lui compete il ruolo di interprete della realtà, grazie a strumenti di conoscenza diversi e più penetranti di quelli del puro raziocinio. In modi diversi ma non discordanti, l'uno identificando il poeta nel veggente, l'altro assegnando alla musicalità del verso il potere di suggerire la realtà impalpabile, Rimbaud e Verlaine svilupparono la poetica baudelairiana fino a diventare i massimi rappresentanti della scuola simbolista, alla quale tuttavia non appartennero di fatto. Essa si forgiò invece intorno a una miriade di rivistine effimere, tra le quali emergono, con caratteristiche talora diverse dato il confuso fervore di iniziative di rottura antiparnassiane e antinaturalistiche dell'epoca, Le Décadent, Le Symboliste, La Vogue, La Plume, Le Mercure de France (fondato da Alfred Vallette nel 1889), La Revue wagnerienne (fondata da Dujardin nel 1885). Vi collaborarono Gustave Kahn, Stuart Merrill, Viélé-Griffin, René Ghil, Jean Moréas che già nel 1891 se ne sarebbe staccato per fondare l'École romane, A. Retté, Ch. Guérin, A. Samain, Jules Laforgue, morto giovanissimo nel 1887, A. Jarry. Altri si raccolsero intorno ai "martedì letterari" di Mallarmé, riconoscendo in lui il massimo interprete della nuova poesia, depositaria del mistero assoluto dell'idea racchiuso nelle più ermetiche forme. E accanto a Mallarmé, con i Dujardin e i Régnier furono influenzati dal simbolismo o ne furono interpreti altissimi poeti e scrittori come P. Valéry, A. Gide e P. Claudel, il quale ispirò il suo teatro, fin dai primi drammi, a un simbolismo che continuò parallelamente alla conquista della fede, nel rispetto di una verità più alta accettata in totale dedizione, chiave per l'interpretazione di ogni cosa. Il merito della rottura con le forme della metrica classica non spetta tuttavia esclusivamente ai grandi, ma anche a tutti quei poeti "di scuola" che del "verso libero" fecero lo stendardo di guerra alla tradizione. A essi, che furono numerosissimi, vanno aggiunti poeti belgi di notevole statura come Rodenbach, Verhaeren, Mockel, Van Lerberghe, Maeterlinck. Di Maeterlinck va detto che fu certo tra i maggiori drammaturghi che si espressero in chiave simbolista. In lui si ritrovano ispirazioni e leggi che sono la chiave del teatro claudelliano. Alla realtà del mondo visibile fa riscontro una realtà del mondo invisibile cui l'uomo partecipa in tutto il suo dualismo, di realtà e spirito, di visibile e invisibile. Maeterlinck voleva persino sostituire all'attore qualcosa di più emblematico, così come Mallarmé voleva sostituire all'eroe tradizionale una astrazione universale, la "figure que nul n'est", tesi che conquistarono sul finire dell'Ottocento il Théâtre d'Art e il Théâtre de l'Œùvre, dove il regista Lugné-Poe sperimentava in chiave simbolista, contro il rigorismo di Antoine, anche il teatro di Ibsen. Il simbolismo fu dunque un momento determinante della storia letteraria anche se la sua stagione si concluse presto

La poetica di Pascoli

La poesia è per Pascoli la voce del poeta-fanciullo che riscopre la realtà delle cose, anche delle più piccole; è uno sguardo vergine e primigenio che si posa sul mondo e ne evidenzia gli aspetti più nascosti. Secondo Pascoli, dunque, può dirsi poeta colui che è riuscito ad esprimere quello che tutti stavano pensando ma che nessuno riusciva a dire.

La poesia però deve avere anche un compito sociale e civile: deve migliorare l’uomo, renderlo buono, renderlo etico. Questa concezione riflette pienamente il suo socialismo umanitario, utopistico, interclassista, patriottico.

Il discorso La grande proletaria si è mossa (con cui Pascoli si dichiarava favorevole all’entrata in guerra dell’Italia)è stato il manifesto di questa sorta di "socialismo nazionale", vicino per alcuni aspetti ad un nazionalismo populista, che considera la guerra come un momento di superamento dei conflitti sociali e delle differenze di classe.

Si tratta, in realtà, di una prospettiva indubbiamente falsata, basata su posizioni che in seguito lo stesso Pascoli provvederà a rivedere:

→ lo spostamento della lotta di classe all’esterno delle nazioni: non più tra parti sociali di una stessa nazione, ma tra nazioni ricche e nazioni proletarie.

→ il continuo scivolare delle argomentazioni politiche e sociali dal piano della ragione a quello del sentimento (illusione di una possibile fratellanza e di un’istintiva bontà che porterebbe gli uomini di una stessa nazione ad abbattere le differenze e ad unirsi nella lotta contro il nemico comune).

Si intrecciano nella sua poetica due spinte fondamentali:

→ una verso l’esterno, verso l’intervento attivo nella società per produrre nei cambiamenti nelle cose e negli uomini.
→ una verso l’interno, intimista, abbinata al gusto contadino per le cose semplici e all’attenzione a volte ossessiva alle complicazioni tortuose del suo animo decadente.

Uno scambio continuo, insomma, tra grande e piccolo, in un rovesciamento di prospettiva e di valori.

D’ANNUNZIO

LA POETICA

La poetica e la poesia del D’Annunzio sono l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti decadenti europei egli accoglie modi e forme, senza però approfondirne l’intima problematica, ma usandoli come elementi decorativi della sua arte fastosa e composita. Aderisce soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al misticismo estetico del Decadentismo, collegandoli alla propria ispirazione narrativa, naturalistica e sensuale. Egli rigetta la ragione come strumento di conoscenza per abbandonarsi alle suggestioni del senso e dell’istinto; spesso vede nell’erotismo e nella sensualità il mezzo per attingere la vita profonda e segreta dell’io. Egli cerca una fusione dei sensi e dell’animo con le forze della vita, accogliendo in sé e rivivendo l’esistenza molteplice della natura, con piena adesione fisica, prima ancora che spirituale. E’ questo il “panismo dannunziano”, quel sentimento di unione con il tutto, che ritroviamo in tutte le poesie più belle di D’Annunzio, in cui riesce ad aderire con tutti i sensi e con tutta la sua vitalità alla natura, s’immerge in essa e si confonde con questa stessa. La poesia diviene quindi scoperta intuitiva; la parola del poeta, modulata in un verso privo di ogni significato logico, ridotta a pura musica evocativa, coglie quest’armonia e la esprime continuando e completando l’opera della natura. La sua vocazione poetica si muta poi in esibizionismo e la poesia vuol diventare atto vitale supremo, una sorta di moralità alla rovescia, estremamente individualistica e irrazionale. Abbiamo allora l’esaltazione del falso primitivo, dell’erotismo o quella sfrenata del proprio io, indicata nei due aspetti dell’estetismo e del superomismo. L’estetismo è in definitiva il culto del bello, in pratica vivere la propria vita come se fosse un’opera d’arte, o al contrario vivere l’arte come fosse vita. Quest’atteggiamento, preso dal Decadentismo francese, è molto consono, corrispondente cioè alla personalità del poeta. Quindi l’esteta si limita a realizzare l’arte, ricercando sempre la bellezza; ogni suo gesto deve distinguersi dalla normalità, dalle masse. Di conseguenza vengono meno i principi sociali e morali che legano al contrario gli altri uomini. A differenza di questo il superuomo assomiglia all’esteta, ma si distingue per il suo desiderio di agire. Il superuomo considera che la civiltà è un dono dei pochi ai tanti e per questo motivo si vuole elevare al di sopra della massa; è l’esteta attivo, che cerca di realizzare la sua superiorità a danno delle persone comuni.

PIRANDELLO:
LA POETICA
Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica, idea ripresa dalla filosofia di Bergson: la realtà tutta è vita, perpetuo movimento vitale, flusso continuo, incandescente, indistinto. Tutto ciò che assume forma distinta ed individuale, comincia a morire.

Questo lo porta ad avere una nuova e rivoluzionaria concezione dell'uomo: esso tende a fissarsi in una forma individuale, che lui stesso si sceglie, in una personalità che vuole coerente ed unitaria; questa, però, è solo un'illusione e scaturisce dal sentimento soggettivo che ha del mondo.

Inoltre gli altri con cui l'uomo vive, vedendolo ciascuno secondo la sua prospettiva particolare, gli assegnano determinate forme. Perciò mentre l'uomo crede di essere uno, per sé e per gli altri, in realtà è tanti individui diversi, a seconda di chi lo guarda.

Ciascuna di queste forme è una costruzione fittizia, una "maschera" che l'uomo s'impone e che gli impone il contesto sociale; sotto questa non c'è nessuno, c'è solo un fluire indististo ed incoerente di stati in perenne trasformazione.

Ciò porta alla frantumazione dell'io, sul quale si era fondato tutto il pensiero sino a quel tempo, in un insieme di stati incoerenti, in continua trasformazione. La crisi dell'idea di identità e di persona è l'ultima tappa della crisi delle certezze che ha investito la civiltà dei primi del novecento.

La presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei personaggi pirandelliani sentimento di smarrimento e dolore. In primo luogo provano angoscia ed orrore, seguiti dalla solitudine, quando si accorgono di non essere nessuno; in secondo luogo soffrono per essere fissati dagli altri in forme in cui non si possono conoscere.

Vi è quindi un rifiuto delle forme della vita sociale, che impongono all'uomo "maschere" e parti fittizie. Innanzitutto viene criticata la famiglia. La seconda "trappola" è quella economica, la condizione sociale ed il lavoro; da quest'ultima non vi è alcuna via d'uscita storica: il pessimismo pirandelliano è totale. Per lui è la società in quanto tale che è condannabile, in quanto negazione del movimento vitale; per questo la sua critica è puramente negativa e non propone alternative.

L'unica via di relativa salvezza che viene data ai suoi eroi è la fuga nell'irrazionale, oppure nella follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale.

Nell'opera pirandelliana viene introdotto un nuovo personaggio: il "il forestiere della vita", colui che "ha capito il giuoco" e che perciò si isola, rifiutando di assumere la sua parte, ed osservando gli uomini imprigionati dalla "trappola" con un atteggiamento umoristico (filosofia del lontano).

Dal vitalismo pirandelliano scaturiscono importanti conseguenze sul piano conoscitivo: se la realtà è in perpetuo divenire, essa non si può fissare in schemi e moduli d'ordine totalizzanti ed onnicomprensivi. Non solo, ma non esiste neanche una prospettiva privilegiata da cui osservare l'irreale, le prospettive possibili sono infinite e tutte equivalenti (Einstein).

Ciò comporta un radicale relativismo conoscitivo: ognuno ha la sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Da ciò deriva un'inevitabile incomunicabilità tra gli uomini, dato che ciascuno fa riferimento alla realtà come gli appare, mentre non può sapere come sia per gli altri.

L'incomunicabilità accresce il senso di solitudine dell'uomo che scopre di essere nessuno.

Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono la concezione dell'arte e la poetica di Pirandello.

L'opera d'arte nasce dal libero movimento della vita interiore, mentre la riflessione, al momento della concezione, non compare o rimane celata sotto forma di sentimento. Nell'opera umoristica, invece, la riflessione giudica, analizzandolo e scomponendolo, il sentimento.

Il dato caratterizzante dell'umorismo è il sentimento del contrario, che permette di cogliere il carattere molteplice e contradditorio della realtà e di vederla sotto diverse prospettive contemporaneamente. Inoltre accanto al comico è sempre presente il tragico, dal quale non può mai essere separato.

 
Top
0 replies since 5/10/2007, 09:40   13890 views
  Share